Giugno 2022 SPIGOLATURE A cura di Livio Carati
Con l’invasione della Ucraina da parte della Russia, iniziata il 24 Febbraio scorso, e la mancanza di una reale e vicina prospettiva di conclusione, non è a rischio solo il destino della nazione Ucraina, ma, con un effetto domino di proporzioni globali, anche il futuro di numerose altre nazioni nel mondo. Nell’ultimo decennio l’Ucraina, da tempo nota come il granaio d’Europa, è diventata una potenza agricola di fondamentale importanza per gran parte dei Paesi in via di sviluppo. Semi migliori, un’ottima agronomia e moderne infrastrutture di lavorazione dei cereali e dei semi oleosi nei porti del Mar Nero, hanno più che raddoppiato le esportazioni dell’Ucraina dal 2012. Il Paese prima della guerra in corso era tra i cinque principali esportatori di cereali e semi oleosi, raggiungendo il 10% delle esportazioni mondiali di grano e quasi il 50% delle esportazioni di olio di semi di girasole. In questa guerra la Russia sta bloccando i porti e distruggendo le città portuali; nel contempo le esportazioni russe sono ostacolate dalle restrizioni bancarie e dall’aumento astronomico dei premi assicurativi per le navi che trasportano grano. Di conseguenza i prezzi di grano, mais e soia si sono impennati del 60% dall’inizio di febbraio. Pertanto se questa guerra non finisce presto, le cose peggioreranno ulteriormente: in Ucraina non si riuscirà a piantare il granturco e il prossimo raccolto sarà quindi molto ridotto. Questo è un pericolo reale per un Paese di 40 milioni di abitanti, ma le conseguenze potranno riguardare centinaia di milioni di persone nel mondo. Tutto questo avviene infatti in un sistema alimentare globale, fortemente interconnesso, dipendente da poche risorse fortemente concentrate in poche aree geografiche, non ancora riemerso completamente dalla pandemia da Covid-19 e già sofferente per le conseguenze dei cambiamenti climatici causati dall’uomo. Quanto sopra dipende dal fatto che Ucraina e Russia insieme producono quasi il 30% del grano commerciato al mondo e il 12% delle relative calorie alimentari. Senza queste risorse, l’impennata dei prezzi e la carenza di alimenti di base potrebbero scatenare un’ondata di instabilità che il mondo non ha più vissuto dopo la primavera araba del 2012. La guerra ha praticamente interrotto l’esportazione di grano da entrambi i Paesi. E questo non è l’unico, e nemmeno il più grosso, dei problemi: Ucraina, Russia esportano in tutto il mondo anche grandi quantità di fertilizzanti a base di azoto e potassio. La minaccia più grande che il sistema agroalimentare mondiale sta per affrontare è perciò il blocco del commercio dei fertilizzanti per l’agricoltura. Mentre la scarsità di grano avrà un impatto su relativamente pochi Paesi, la carenza dei fertilizzanti invece può avere conseguenze su tutti gli agricoltori del mondo e causare cali di produzione per tutti i generi alimentari, non solo per il grano. Il conflitto tra i due paesi potrebbe pertanto avere conseguenze sul settore agricolo in tutto il mondo quest’anno, e nel prossimo futuro. Ma, mentre i paesi più ricchi potrebbero ricorrere alle proprie ingenti riserve e, almeno in parte, diversificare le loro fonti di approvvigionamento, questo potrebbe significare meno pane in tavola in Palestina, Libano, Yemen e altri Paesi del mondo arabo, per non parlare dell’Africa subsahariana, dove milioni di persone già lottano per la sopravvivenza. Ma i problemi non sono ancora finiti; questo shock piomba infatti su un sistema alimentare globale che, stando all’ultimo rapporto del IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) , sente già gli scossoni della crisi climatica. Le alte temperature stanno già peggiorando la qualità e la resa degli ecosistemi che ci sfamano, cioè le terre coltivate e i mari. L’effetto è particolarmente visibile nelle regioni del sud del mondo e in quelle equatoriali, minimamente responsabili delle emissioni dannose di CO2, eppure gravemente colpite dalle conseguenze dell’aumento di gas serra. Non dobbiamo pensare soltanto a eventi climatici estremi (come siccità o gelate fuori stagione) che distruggono i raccolti. Siamo anche di fronte a danni più silenziosi, costanti e irreversibili: lo stesso eccesso di CO2 fa crescere più rapidamente i raccolti, ma li priva delle vitamine e dei sali minerali essenziali. Intanto, lo stress termico in atto ha già ridotto sensibilmente le rese dei raccolti globali di mais, grano e riso e, per ogni grado aggiuntivo di riscaldamento globale rispetto agli 1,5 °C attuali, si attende un’ulteriore riduzione del 10-25%. Secondo il rapporto del IPCC, inoltre, il 30% delle terre coltivate o adibite a pascolo nel mondo potrebbe diventare improduttivo entro fine secolo, perché troppo arido e asciutto e ormai privato dello strato più superficiale di suolo, quello a più alta concentrazione di materiale organico, dove avviene la maggior parte delle attività biologiche. Non va meglio nei mari: il riscaldamento degli oceani è responsabile del collasso delle popolazioni ittiche e degli ecosistemi acquatici più ricchi di biodiversità, come le barriere coralline; nel frattempo, dal 1930 al 2010, il numero di bocche terrestri da sfamare è triplicato. A questa situazione, già critica, vi è da aggiungere che, a causa del COVID, i governi di molti paesi non hanno risorse economiche sufficienti. L’inflazione è a livelli record e i prezzi del carburante hanno raggiunto i prezzi più alti degli ultimi anni. Se a questo si aggiunge il calo dell’occupazione e quindi perdite di reddito si può concludere che questa crisi è arrivata nel peggiore dei momenti.
La Rubrica SPIGOLATURE riprenderà a settembre….arrivederci