Novembre 2021 SPIGOLATURE a cura di Livio Carati
Dopo il tramonto della civiltà delle terme, avevamo lasciato l’Europa dell’Età di mezzo dominata da un sozzume universale. E così la ritroviamo, in questo ultimo articolo dedicato al periodo compreso tra il gli inizi del 1500 fino ai nostri giorni (i primi due articoli sono stati pubblicati in Giugno e in Ottobre). Infatti anche negli anni del cosiddetto Rinascimento le grandi città apparivano invase da miasmi insopportabili. Piuttosto che tentare di risolvere il problema strutturale dello smaltimento delle deiezioni corporee , si provò a coprirne gli odori con il profumo e solo secoli dopo, grazie ai progressi scientifici, quando si cominciò ad intuire la pericolosità delle esalazioni, portatrici di epidemie e morte, si cominciò a pensare di dotare le città di fognature e anche l’evoluzione dei servizi igienici, pubblici e privati, subì un’accelerazione.
Se col termine Rinascimento si vuole intendere la rinascita artistica e culturale dell’Europa dopo i secoli bui del Medioevo , e si vuole pensare al XVI secolo come ad un’età di cambiamento nel modo di concepire il mondo e se stessi, questo concetto non si può applicare né all’igiene delle persone, né a quella delle città. Le deiezioni continuavano ad essere gettati in strada ogni sera in Francia, Inghilterra e Italia. Londra, Parigi, Roma, Napoli e Venezia vengono descritte da illustri scrittori come vere e proprie cloache. La situazione doveva davvero rasentare il limite della sopportazione se, a partire dalle classi sociali più elevate, si scatenò la lotta alla puzza e si aprì l’era del profumo. Senza nemmeno prendere in considerazione l’idea di lavare se stessi e le strade, si passò direttamente all’estremo opposto: privare dell’odore ogni deiezione o quantomeno coprirne la puzza con aromi e profumi. In realtà la riscoperta del profumo, paragonabile alla creazione di un alchimista, avvenne nel Rinascimento, ad opera di profumieri italiani, stimolati da clienti di gran pregio come Caterina Sforza e Lucrezia Borgia. Nell’epoca barocca non ci si lavava, ma ci si abbelliva. La toeletta dei Re consisteva nel lavare le mani, ma ignorando il resto del corpo, mentre per gli umori del corpo si adoperavano spugnature seguite dall’applicazione di unguenti aromatici. Il profumo aveva il compito di mascherare gli odori, con una finalità quasi terapeutica: si riteneva che la pelle, assorbendo le essenze, ne lasciasse filtrare le proprietà benefiche anche all’interno del corpo. Nell’alta società la fobia per qualsiasi odore sgradevole emesso dal corpo portò agli eccessi , fino all’abitudine di farsi somministrare clisteri aromatizzanti a base di infusi di fiori e profumi. L’alto onore di offrire prontamente la confortevole “seggetta” al Re dopo un clistere spettava al funzionario di corte di grado più elevato: il Gran Ciambellano. Precedendo i tempi di quasi due secoli nel 1596 l’inglese John Harington presenta il prototipo del suo WC a valvola. Questa invenzione comunque non incontrò il favore della gente, evidentemente incapace di comprenderla, e rimase confinata nel suo bagno per altri duecento anni. La svolta decisiva si ebbe nel 1775 per opera di Alexander Cumming, l’orologiaio scozzese che brevettò il vero primo WC della storia. Successivamente, all’invenzione di Cumming vennero apportate alcune modifiche e miglioramenti, ma a cambiare radicalmente l’aspetto del WC , rendendolo più simile a quello attuale , con l’aggiunta di una base in ceramica , fu però alla metà dell’800 l’inglese T.W. Twyford .
Poco per volta così nelle città e nella borghesia cominciò a diffondersi l’uso del WC, e con esso una nuova consapevolezza dei benefici del nuovo presidio igienico. L’igiene divenne così uno status simbol, che contrapponeva braccianti e nuovi borghesi, città e campagna; divenne una materia da insegnare a scuola, divenne cioè sinonimo di civiltà. Gli sforzi per creare reti fognarie efficienti si moltiplicarono, fino a quando, nella seconda metà del ’900, la cultura del bagno si affermò definitivamente. Dopo le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, si passò alla fase di ricostruzione e il boom economico assecondò il desiderio di rinnovamento, le speranze di una vita migliore e la voglia di lasciarsi alle spalle anni di sofferenze.
Ma neanche allora le deiezioni corporee vennero rimosse del tutto dalla nostra storia: il legame inscindibile con la fisiologia (e quindi con ogni individuo, ma anche con la coscienza collettiva), divenne materia di indagine della psicoanalisi. Cosa ci ha portati a reprimere ciò che Freud definisce “carattere anale” in favore di una pulizia associata all’idea di ordine e parsimonia? La questione resta aperta: il tabù sopravvive pressoché intatto fino ai nostri giorni e rimane un argomento ancora in grado di scuotere e scandalizzare, suscitando reazioni che oscillano fra sdegno, rifiuto, imbarazzo e ilarità. Insomma, il tema è controverso e, mentre ci impegniamo a celarlo dietro ai dovuti eufemismi, non possiamo ignorare che dalla seconda metà del Novecento, vuoi per volontà di stupire o per puri atti provocatori verso la società cosiddetta perbenista, gli escrementi, con i loro annessi e connessi vengono sdoganati ed entrano persino a far parte della scena artistica mondiale. Gli esempi nella letteratura e nell’arte figurativa sono moltissimi: basta ricordare l’opera di Marcel Duchamp del 1917 dal titolo Fountain, che altro non era se non un orinatoio; emblematico poi è il caso di Piero Manzoni che nel 1961 crea la “merda d’autore” (con rispetto parlando, s’intende…). E chi avrebbe mai immaginato che un giorno una sua lattina di …… sarebbe stata battuta all’asta per ben 17.000 sterline (l’anno è il 1998) e che sarebbe diventata un oggetto da esporre, magari in salotto a dispetto del Bon Ton ? Ironia della storia…